Napoli sta diventando una delle città italiane più interessanti non solo sotto il profilo della cultura ma anche delle trasformazioni urbane e del ruolo che nel loro governo riesce ad esprimere l’urbanistica. Le cose sembrano muoversi nella direzione giusta, sotto la guida di un sindaco e un’amministrazione sufficientemente preparata, che appaiono in grado di elaborare strategie non banali per il miglioramento di una città come noto particolarmente difficile, essendo di fatto la porta tradizionale del Mezzogiorno con tutti i problemi accumulati nel tempo e le contraddizioni dello sviluppo da sempre irrisolte.
Già qualche tempo fa EcoWebTown (EWT17) si era occupata della possibile riqualificazione esemplare di un’area periferica di Napoli, le Vele a Scampia, per la quale era in discussione l’alternativa tra l’azzeramento radicale della mega-architettura di Franz di Salvo, storica icona di una periferia disperata e intrattabile anche perché schiacciata dal potere della criminalità locale, oppure il suo riuso inventivo e progressivo con la partecipazione attiva dei suoi abitanti più volenterosi. A Scampia ci sono adesso l’università (Scienze infermieristiche), scuole di calcio e librerie all’avanguardia, meno spacciatori di droga e più “spacciatori di cultura” (Carofiglio). Però noi avevamo rilevato in quell’occasione i limiti sostanziali del dibattito imputabili all’assenza di un esplicito progetto urbano alternativo secondo il punto di vista più volte propugnato dalla rivista, anche ai fini della riproposizione della stessa strategia ad altre città in condizioni analoghe. Faceva in ogni caso ben sperare il coraggioso coinvolgimento della università locale, non solo in chiave strumentale, ma anche per trovare di comune accordo le soluzioni migliori ai fini della riqualificazione del complesso progettato da Di Salvo.
Con il tempo il dialogo tra Comune di Napoli ed università sembra essersi intensificato, e le occasioni di collaborazione tra i due enti sembrano essere maturate ulteriormente, al di là delle reciproche gelosie istituzionali. E forse proprio per questo motivo Napoli, nonostante il peso delle ideologie massimaliste ereditate dalla sinistra, nonostante il ruolo spesso regressivo delle istituzioni culturali del settore dell’urbanistica, e nonostante i comportamenti fin troppo mercantili e spregiudicati di una destra speculativa dal dopoguerra in poi, nonostante insomma le grandi contraddizioni tra grandezza e miseria sta diventando una città decisamente interessante in tema di riqualificazione urbana.
Anche per queste ragioni abbiamo scelto di richiamare in apertura lo stimolante libro curato recentemente da Attilio Belli dal titolo “Dire-il-vero”, dedicato alle politiche urbane di Napoli nel secondo Novecento (Guida editori, Napoli, 2023). Il centro tematico del libro -le politiche della identità e la capacità di “parlar franco” da parte dei principali protagonisti a fronte dei reiterati processi di tradimento della identità locale e le varie responsabilità in gioco – sembra essere distante dalle questioni sollevate abitualmente dalla nostra rivista. Ma così non è, perché come sappiamo i progetti per essere pensati e radicati localmente hanno bisogno di essere alimentati dagli uomini e dalle loro visioni del mondo, dal loro impegno per la ricerca di verità anche quando possono apparire sgradevoli, disponendosi fattivamente alla convergenza nell’azione con altri uomini e donne. Così il bel libro di Belli sposta in modo innovativo l’attenzione dai soliti piani alle diverse figure che dal dopoguerra hanno agito a Napoli, al “quadro problematico dei diversi soggetti e modi di dire-il-vero, e la faticosa ricerca delle conseguenze”.
L’intento di fondo del libro sembra essere la rilettura critica del bagaglio ideologico dei diversi protagonisti in gioco e il loro apporto alla formazione di consapevolezze comuni per la città, molto spesso in modo antagonista rispetto alle politiche istituzionali, al fine ultimo di scavare dentro le identità controverse sedimentate nel tempo. Può accadere talvolta di travisare la posta in gioco e la “verità” di alcuni casi eclatanti come a Bagnoli, la splendida piana sul golfo di Pozzuoli dove si è costruito insensatamente uno dei più grandi insediamenti siderurgici del nostro Paese. A Bagnoli infatti si è finito per privilegiare la prospettiva vincolistica di Antonio Iannello invece che quella del fare alla chiusura dell’impianto, accettando i rischi di un progetto di sviluppo socialmente condiviso e partecipato e dagli ingenti costi di riurbanizzazione.
Ma non importa troppo, in fondo ciò che conta davvero in questo libro è la capacità di restituire quella intensa temperie culturale che ha saputo forgiare l’identità più radicata di Napoli, facendo emergere misteriosamente le risorse culturali più inaspettate, se necessario in coraggiosa controtendenza rispetto alla realtà del momento -perfino nelle fasi storiche più difficili, come durante il prolungato periodo del massacro edilizio della città. Tutto ciò appare alquanto evidente ad esempio nelle sorprendenti vicende parallele avvenute del mondo della musica, a differenza dell’urbanistica che ha dovuto scontare la rigidità massimalista del pensiero convenzionale di fronte allo strapotere della speculazione fondiaria, restando alla fine ingessata in una condizione di dolorosa ineffettualità perché troppo distante dal sentire comune della popolazione.
Abbiamo spesso affermato che EcoWebTown intende contribuire al suo modo agli sforzi dei sindaci e della cultura urbanistica meno convenzionale per migliorare la qualità dei progetti, a Napoli e altrove, in quelle poche realtà urbane del Paese impegnate veramente nel miglioramento delle proprie condizioni insediative. L’eccellente ed esauriente lavoro di ricostruzione dei temi affrontati nella loro storia e le posizioni assunte nel tempo dalle principali riviste internazionali di urbanistica, inaugurato da Piercarlo Palermo la volta scorsa (EWT 27) ed adesso concluso con un riferimento specifico alle riviste del settore del disegno urbano (in particolare Journal of Urban Design, Urban Design International, Journal of Urbanism), non offre certezze rassicuranti. Consente però almeno di riflettere criticamente sulle responsabilità che dovrebbero essere assunte per assicurare una forma fisica pertinente allo spazio urbano in evoluzione.
I controversi nessi tra Urban Design e Urban Planning, come del resto le ricorrenti oscillazioni tra il primato del fisico e quello del sociale nei processi di trasformazione della città, appaiono nelle tre riviste quanto mai labili e problematici, sia sotto il profilo teorico che empirico. Nonostante i fallimenti incontrati in un secolo di vani tentativi, oggi i più ottimisti cominciano ad intravvedere qualche speranza nel cercare di rimettere insieme progetti e politiche urbane, assumendo entrambi come costrutti sociali al modo che hanno insegnato De Carlo e Wildavsky. In sostanza, come sostiene Palermo, un nuovo scenario più positivo che vede da una parte gli urbanisti-pianificatori sollecitati a pensare sempre più alla organizzazione dello spazio in termini di forma, attribuendo al progetto responsabilità specifiche; dall’altra gli architetti-urbanisti, come progettisti delle forme e degli assetti urbani, chiamati a diventare sempre più consapevoli rispetto alle questioni del consensus building, delle decisioni, dei processi di gestione.
Poi c’è l’esperienza concreta delle città, con il loro difficile compromesso tra le attese sulla qualità morfologica e le condizioni dell’abitare da perseguire volta per volta e la fattibilità concreta delle politiche possibili, con l’indispensabile quanto faticoso coinvolgimento dei protagonisti sociali in gioco con il loro incerto bagaglio ideologico.
I materiali prodotti da Luca Montuori, già assessore all’urbanistica nella precedente compagine guidata dalla sindaca Raggi (2017-21), e pubblicati in “Anello verde” ( Libria, Melfi, 2022), sono particolarmente utili in questa prospettiva. L’idea di Montuori per conto della sua amministrazione comunale era di realizzare un anello verde per Roma, sviluppando le intuizioni del PRG vigente e ridefinendo progettualmente alle diverse scale i rapporti tra sistema ferroviario, stazioni e città, come affermato nel libro di cui si ripubblicano di seguito ampi stralci. Qualcosa di analogo a quanto si sta facendo ormai da tempo a Milano in accordo con RFI ( vedi EWT 20), ma a Roma con un approccio forse più sofisticato e pertinente circa i rapporti da perseguire progettualmente tra le nuove strutture del verde, l’archeologia, la cintura ferroviaria ed il sistema delle stazioni ferroviarie secondarie.
C’è però qualcosa di molto diverso tra le due esperienze, e riguarda il modo di coinvolgere la città ed in particolare le popolazioni locali interessate dal progetto. A Milano la collaborazione del Comune con il Politecnico è stata saggiamente incentrata proprio questo tema, mentre a Roma si è ritenuto sufficiente il passaggio istituzionale in Giunta e in un secondo tempo nel Consiglio comunale, il quale avrebbe dovuto prendere le misure al progetto e trovare le necessarie mediazioni. Ebbene oggi a Milano il progetto è in marcia, nonostante le soluzioni progettuali per gli assetti morfologici siano spesso insoddisfacenti sebbene regolate da concorsi specifici. A Roma invece il progetto è rimasto sulla carta, travolto dal passaggio di consegne alla successiva giunta Gualtieri, ma forse debilitato anche dalla inconsistenza della condivisione sociale raggiunta.
In realtà sono in gioco due diversi modi di intendere il progetto urbano: più espressione del progetto fisico-spaziale e della trattativa di vertice del Comune con la società RFI a Roma. Più condizionato dal dialogo con la cittadinanza locale, in particolare per individuare le compensazioni necessarie alla politica di sviluppo dello spazio associato alle stazioni e alla rete ferroviaria a Milano. Non è una questione da poco, perché i contenuti e gli esiti del progetto urbano possono cambiare anche sostanzialmente.
Il cortocircuito tra il libro di Belli citato all’inizio e l’esperienza di Roma descritta in seguito tende così a chiudersi. Nel caso di Roma le prefigurazioni brillanti di un assessore-architetto che sa manovrare con sapienza gli assetti dello spazio e delle infrastrutture in una città controversa e sfilacciata ma ricca di memorie. Nel caso di Napoli, il mondo dei protagonisti, le loro idee e la loro cultura decisiva nel costruire progetti urbani credibili che non coinvolgano soltanto gli addetti ai lavori, confidando poi nella capacità taumaturgica della amministrazione comunale per imporre le soluzioni disciplinari non concertate. Accordi e patti tra gli attori che a Milano stentano a tradursi in architetture convincenti, nonostante il massiccio ricorso a gare internazionali, ma che comunque garantiscono la effettiva operatività delle soluzioni concertate.
A ben guardare la via dei progetti urbani per il futuro è quanto mai impervia. Si dovrà trovare un compromesso accettabile tra le soluzioni che premiano la qualità degli assetti e degli spazi, e le soluzioni eventualmente negoziate dal basso che trascinano gli interessi degli attori locali coinvolgendoli in progetti ed iniziative condivise. Lo stesso dilemma che ha attraversato la letteratura internazionale. In questa prospettiva c’è ancora molto da fare, ed è in discussione la stessa figura del tecnico che dovrà farsi carico delle diverse filiere in gioco. Sarà l’urbanista-architetto evocato da Palermo, con una robusta iniezione di competenze non tradizionali in materia di politiche pubbliche? O sarà invece un urbanista-planner affiancato da un sapere architettonico finalmente capace di entrare in partita per donare qualità e senso alle trasformazioni, tenendo adeguato conto delle condizioni concrete imposte dalle mediazioni politiche?
La questione è per molti versi decisiva e chiede un apporto disciplinare che non può essere delegato ai saperi concomitanti volta per volta messi in gioco dai progetti. La qualità dei progetti urbani continuerà ad essere inevitabilmente aleatoria, ma dovrà contare sempre di più su criteri e procedure che favoriscono il ricorso positivo a questa metodologia, messa a punto in modo più circostanziato di quanto avvenga abitualmente.